Nella prassi, il pagamento della parte di prezzo occulta avviene mediante utilizzo di contanti, o con assegni bancari (al fine di evitare che tale passaggio di denaro lasci tracce). E’ bene sottolineare, a tale riguardo, la normativa relativa al limite all’uso del contante:
-
Italia: Dal 1° gennaio 2023, il limite per i pagamenti in contante è fissato a 5.000 euro. Ciò significa che è possibile effettuare pagamenti in contanti fino a 4.999,99 euro; per importi pari o superiori a 5.000 euro, è obbligatorio utilizzare strumenti di pagamento tracciabili come bonifici bancari, assegni non trasferibili o carte di pagamento.
-
Unione Europea: Il Regolamento UE 1624/2024, entrato in vigore il 9 luglio 2024, stabilisce un limite massimo di 10.000 euro per i pagamenti in contante all'interno dell'UE. Tuttavia, gli Stati membri possono adottare soglie più restrittive; pertanto, in Italia continua ad applicarsi il limite di 5.000 euro. Le disposizioni europee diventeranno applicabili in tutti i Paesi UE a partire dal 10 luglio 2027, per garantire l’allineamento con le normative nazionali.
Normativa antiriciclaggio:
-
La normativa antiriciclaggio italiana impone l'obbligo di utilizzare strumenti di pagamento tracciabili per importi pari o superiori a 5.000 euro. L'utilizzo di contante per importi superiori a questa soglia è vietato e comporta sanzioni sia per chi effettua il pagamento sia per chi lo riceve.
Assegni:
-
Gli assegni bancari e circolari di importo pari o superiore a 1.000 euro devono recare la clausola "non trasferibile". L'emissione di assegni senza tale clausola per importi pari o superiori a 1.000 euro è vietata e comporta sanzioni amministrative.
Considerazioni sulla "parte di prezzo occulta":
-
Pratiche come il pagamento di una parte del prezzo in contanti non dichiarati (cosiddetta "parte di prezzo occulta") sono illegali e configurano reati come l'evasione fiscale e il riciclaggio di denaro. Tali comportamenti sono severamente puniti dalla legge.
Obblighi anti-riciclaggio
Dal 2006, l’Italia ha adottato una normativa europea anti-riciclaggio che ha subito aggiornamenti significativi, in particolare con il D.Lgs. 231/2007 e successive modifiche. I notai, come tutti i liberi professionisti, sono obbligati a verificare la provenienza del denaro utilizzato per le compravendite immobiliari e segnalare eventuali operazioni sospette all’Unità di Informazione Finanziaria (UIF) presso la Banca d’Italia. Oggi, non si utilizza un registro manuale per annotare le operazioni sospette, ma tutte le segnalazioni sono effettuate attraverso un sistema telematico centralizzato. L’utilizzo di denaro contante oltre i limiti di legge o la frammentazione sospetta dei pagamenti sono fattori che possono generare tali segnalazioni.
Revocatoria fallimentare
Nel caso di acquisto di un immobile da parte di un imprenditore individuale o di una società, è importante evitare l’occultazione parziale del prezzo, che potrebbe avere gravi conseguenze in caso di fallimento del venditore. La legge consente ai creditori del fallito di richiedere la revoca degli atti compiuti nei sei mesi antecedenti la dichiarazione di fallimento, se pregiudizievoli per i loro interessi. Un atto di vendita con un prezzo dichiarato inferiore al reale potrebbe essere revocato, con il rischio per il compratore di perdere l’immobile e recuperare solo l’importo ufficialmente dichiarato, e non la somma effettivamente versata.
Esempio: Se un immobile viene venduto a un prezzo dichiarato di 100.000 euro, ma il compratore paga in realtà 200.000 euro, e il venditore fallisce entro sei mesi, i creditori possono ottenere la revoca della vendita, con il conseguente ritorno dell’immobile nel patrimonio del fallito. Il compratore potrà insinuarsi nel fallimento per recuperare al massimo l’importo dichiarato, e non quello effettivamente pagato.
Prelazione nei contratti di vendita
In alcuni casi, la legge attribuisce diritti di prelazione a determinati soggetti, come lo Stato (per immobili vincolati), i confinanti di terreni agricoli o gli inquilini (per immobili abitativi o commerciali). Il venditore deve offrire al titolare della prelazione la possibilità di acquistare l’immobile alle stesse condizioni offerte da terzi. Dichiarare un prezzo inferiore a quello effettivo può comportare il rischio di riscatto da parte del titolare della prelazione, che potrà acquisire il bene a un prezzo inferiore a quello realmente pagato.
Mutuo e prezzo dichiarato
Se l’acquirente utilizza un mutuo per finanziare l’acquisto, l’importo erogato dalla banca deve essere compatibile con il prezzo dichiarato nell’atto di compravendita. In particolare, in caso di mutui di scopo (finalizzati all’acquisto di un immobile), la discrepanza tra il prezzo dichiarato e l’importo del mutuo può rappresentare un indizio di occultamento di corrispettivo, potenzialmente rilevante per le autorità fiscali. Inoltre, i contratti di mutuo spesso prevedono che gli assegni circolari erogati dalla banca siano intestati direttamente al venditore, rendendo impossibile dichiarare un prezzo inferiore all’importo erogato.
Detrazione degli interessi passivi del mutuo
Gli interessi passivi pagati sul mutuo per l’acquisto dell’abitazione principale possono essere detratti fino a un massimo di 4.000 euro all’anno, ma solo entro il limite del prezzo dichiarato nell’atto di compravendita. Dichiarare un prezzo inferiore al reale potrebbe comportare la perdita parziale o totale del beneficio fiscale.
La fissazione del prezzo da dichiarare nell’atto notarile è un aspetto cruciale della compravendita immobiliare, con implicazioni fiscali, legali e pratiche significative. È fondamentale adottare la massima trasparenza e rispettare le norme vigenti per evitare rischi e conseguenze dannose. Si raccomanda di consultare il notaio o un consulente fiscale durante la trattativa per garantire il pieno rispetto della normativa.