Azienda coniugale

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L'azienda coniugale, disciplinata dall'art. 177, lettera d), del codice civile, rientra nella comunione dei beni tra i coniugi se è costituita dopo il matrimonio ed è gestita da entrambi. Inoltre, l'art. 178 del codice civile stabilisce che i beni destinati all'impresa costituita da uno dei coniugi dopo il matrimonio, così come gli incrementi di un'impresa preesistente, entrano a far parte della comunione solo al momento dello scioglimento della stessa. Questa norma regola il fenomeno della comunione residuale (o de residuo).

L'azienda coniugale non deve essere confusa con l'impresa familiare prevista dall'art. 230 bis del codice civile. La dottrina ha talvolta mescolato impropriamente due aspetti distinti: quello statico, legato alla proprietà dell'azienda, e quello dinamico, relativo alla sua gestione e all'attività imprenditoriale.

L'art. 178, introdotto con la riforma del 1975, non intende introdurre una nuova forma di esercizio associato dell'impresa diversa dalla società, ma risolve un problema di attribuzione della proprietà dei beni aziendali. Se si ritenesse che queste norme regolano l'attività di impresa in senso stretto, si dovrebbe applicare la disciplina della comunione legale anche alle responsabilità derivanti dalle obbligazioni contratte nella gestione aziendale comune. Ciò solleverebbe dubbi, in particolare sul trattamento dei creditori dell'azienda.

Secondo gli artt. 186 e 190 del codice civile:

  1. I beni della comunione rispondono delle obbligazioni contratte congiuntamente dai coniugi, inclusi gli impegni assunti per l'azienda coniugale.

  2. I creditori, in caso di beni comuni insufficienti, possono agire solo in via sussidiaria sui beni personali dei coniugi, e solo fino alla metà del proprio credito.

 

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