Azienda coniugale e impresa familiare

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Il codice civile conosce la figura dell'azienda coniugale disponendo che, ai sensi della lettera d) dell'art. 177 cod.civ. , appartengono alla comunione dei beni tra i coniugi "le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio". L'art. 178 cod.civ. prevede che "i beni destinati all'esercizio dell'impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell'impresa costituita anche precedentemente, si considerano oggetto della comunione solo se sussistono al momento dello scioglimento di questa" dettando una disposizione che disciplina la cosiddetta comunione de residuo.

Il fenomeno dell' azienda coniugale si differenzia da quello dell' impresa familiare di cui all'art. 230 bis cod.civ. (Cass. Civ. Sez. Lavoro, 13390/92 ).                

L'articolo 178 del Codice Civile, introdotto con la riforma del 1975, non ha l’obiettivo di creare una nuova forma di gestione associata dell’impresa diversa dalla società. Piuttosto, mira a risolvere la questione relativa alla titolarità dei beni aziendali. Se interpretassimo queste norme come regolatrici dell’attività d’impresa, dovremmo applicare le regole della comunione legale anche alla gestione delle obbligazioni contratte dai coniugi nell’ambito dell’attività economica comune.

Ciò solleva un dubbio: i creditori dell'azienda dovrebbero seguire le regole previste per la comunione legale, anziché quelle specifiche della disciplina societaria?

Dall'esame degli artt. 186 e 190 cod.civ. si evince quanto segue:

  • i beni della comunione rispondono di tutte le obbligazioni contratte congiuntamente dai coniugi (tali sarebbero quelle contratte nell'esercizio di un'azienda coniugale);

  • i creditori insoddisfatti potrebbero agire solo in via sussidiaria sui beni personali dei coniugi nella sola misura della metà del proprio credito, qualora i beni della comunione fossero incapienti. La norma dell'articolo 190 del Codice Civile si riferisce ai creditori della comunione legale, cioè quei creditori il cui credito deriva da obbligazioni contratte nell'interesse della comunione o della famiglia. Questi creditori possono agire in via sussidiaria sui beni personali di ciascuno dei coniugi, ma solo se i beni della comunione non sono sufficienti a soddisfare il debito. Inoltre, l'azione sui beni personali è limitata alla metà del credito, in linea con la quota di ciascun coniuge nella comunione.    

E' evidente l'assoluta divergenza dalle regole societarie. Qualora dovessimo aderire alla tesi dell'applicabilità della disciplina propria della comunione, dovremmo infatti concludere che i coniugi possono godere del beneficio di una responsabilità parzialmente limitata in antitesi con la normativa in tema di responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni contratte nell'ambito delle regole proprie della società a base personale.

L'espressione "responsabilità illimitata delle società a base personale" si riferisce proprio alle società di persone (SNC e SAS) e non alle società di capitali come SRL o SPA, dove i soci beneficiano della protezione patrimoniale e rispondono solo con il capitale versato.

L’azienda coniugale e l’impresa familiare costituiscono due diverse forme di esercizio di un’attività economica nell’ambito della famiglia e hanno differente natura giuridica.

Esse possono distinguersi, inoltre, sulla base del ruolo assunto dal coniuge all’interno dell’impresa.

L’azienda coniugale è disciplinata dall’art. 177 del codice civile, si caratterizza principalmente per il fatto che viene gestita in egual misura da entrambi i coniugi.

L’impresa familiare è disciplinata dall’art. 230 bis del codice civile, si riferisce alla forma che può assumere l’impresa individuale quando ad essa collaborano i familiari dell’imprenditore.

Le differenze rispetto all’azienda coniugale si possono riassumere nei seguenti punti:

  • Partecipazione del coniuge.
    Nell’azienda coniugale i benefici spettano a ciascun coniuge indipendentemente dall’effettiva partecipazione al lavoro e alla gestione della società.
    Nell’impresa familiare la partecipazione del coniuge è proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato.

  • Potere di gestione dell’impresa.
    Nell’azienda coniugale non vi è alcuna subordinazione di un coniuge rispetto all’altro: entrambi hanno pieno potere di amministrare l’azienda in misura paritaria.
    Nell’impresa familiare i collaboratori (tra cui può figurare anche il coniuge), possono collaborare ma con mansioni subordinate rispetto al titolare non agendo quindi su un piano paritario.

Le caratteristiche dell’azienda coniugale sono:

  • non deve essere costituita per atto pubblico;

  • deve essere costituita dai soli coniugi ed esclude chiunque altro;

  • i beni dei coniugi devono essere gestiti in comunione legale;

  • entrambi i coniugi hanno uguali diritti e doveri nei confronti dei terzi;

 

Azienda coniugale: amministrazione e rappresentanza

  1. Amministrazione ordinaria e straordinaria:

    • Ciascun coniuge può compiere autonomamente atti di ordinaria amministrazione legati all'azienda coniugale.

    • Per gli atti di straordinaria amministrazione (es. vendita, donazione o ipoteca di beni dell'azienda), è necessario il consenso di entrambi i coniugi, come previsto dall'art. 180 del Codice Civile.

  2. Atti dispositivi di beni immobili e mobili registrati:

    • Gli atti che riguardano beni immobili o mobili registrati (es. automobili) rientrano negli atti di straordinaria amministrazione. Pertanto, per questi è necessario il consenso di entrambi i coniugi.

    • Questo è conforme alla disciplina generale della comunione legale (art. 180 c.c.), applicabile anche all'azienda coniugale.

Un’azienda costituita dopo il matrimonio e gestita congiuntamente dai coniugi rientra nel regime di comunione legale, includendo anche gli utili e gli incrementi generati, salvo diversa scelta dei coniugi, come l’opzione per il regime di separazione dei beni.

Al contrario, se l’azienda è stata costituita da uno dei coniugi prima del matrimonio e, successivamente, viene gestita congiuntamente, rimane un bene personale del coniuge proprietario. In questo caso, la comunione legale si applica solo agli utili e agli incrementi prodotti dall’azienda dopo il matrimonio, senza estendersi alla proprietà dell’azienda stessa.

Come stabilito dall’art. 177, lett. d, c.c., le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio fanno parte della comunione legale.

Ai sensi dell’art. 178 c.c., i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell’impresa costituita anche precedentemente si considerano oggetto della comunione solo se sussistono al momento dello scioglimento di questa. La differenza con l'articolo precedente (art.177 c.c.) riguarda la gestione dell'azienda, qui operata da uno solo dei coniugi, come ad esempio un’impresa individuale: i beni aziendali e gli incrementi entreranno nella comunione differita. 

Si distingue tra azienda coniugale, azienda personale cogestita ed azienda personale gestita dal solo coniuge imprenditore.

Il termine "azienda coniugale" fa riferimento a due situazioni: in primo luogo, all'ipotesi indicata dall'art. 177, lett. d), c.c., relativa all'azienda costituita o acquistata dopo il matrimonio e gestita da entrambi i coniugi, classificata come "azienda coniugale con impresa familiare". Inoltre, nell'ambito di tale normativa, è stato ritenuto che possa rientrare anche un'ipotesi diversa, ovvero l'azienda costituita o acquistata dopo il matrimonio ma gestita da un solo coniuge, denominata "azienda coniugale con impresa personale". In entrambi i casi, l'applicazione dell'art. 177, lett. d), c.c. comporta l'inclusione nella comunione legale sia dei beni aziendali che degli utili e degli incrementi dell'azienda.

L'azienda coniugale con impresa familiare, che costituisce necessariamente una società di fatto, richiede la distinzione tra i rapporti interni dei coniugi, disciplinati dalle norme sulla comunione, e quelli esterni con i terzi, regolati dalle disposizioni sulla società semplice. Tale forma di azienda coinvolge entrambi i coniugi, ma la proprietà dei beni aziendali e la ripartizione degli utili o incrementi sono regolati dalle norme sulla comunione.

Se un’azienda personale è gestita congiuntamente dai coniugi, i beni aziendali non entrano nella comunione legale e rimangono di proprietà esclusiva del coniuge titolare, a meno che l’azienda non sia stata costituita dopo il matrimonio. In tal caso, come previsto dall’art. 177, lett. d), del Codice Civile, l’azienda stessa rientra nella comunione legale, inclusi i beni aziendali, gli utili e gli incrementi prodotti.

Quando, invece, l’azienda è stata costituita prima del matrimonio o è gestita esclusivamente dal coniuge imprenditore, i beni aziendali rimangono personali e non rientrano nella comunione legale. Tuttavia, gli utili e gli incrementi generati dall’azienda durante il matrimonio sono soggetti alla comunione de residuo, secondo quanto stabilito dagli artt. 178 e 177, comma 1, lett. c), del Codice Civile. Questo significa che tali utili e incrementi entreranno nella comunione solo se ancora esistenti al momento dello scioglimento del regime di comunione legale.

In sintesi, i beni aziendali sono esclusi dalla comunione nei casi di aziende personali, salvo che l’azienda sia stata costituita dopo il matrimonio e gestita congiuntamente dai coniugi, situazione in cui l’intera azienda diventa oggetto della comunione.

L'istituto dell'impresa familiare, disciplinato dall'art. 230 bis c.c., riguarda un'impresa personale in cui il coniuge imprenditore assume la qualifica di imprenditore, mentre l'altro fornisce continuativamente il proprio apporto lavorativo senza partecipare alla gestione. Il familiare collaboratore ha diritto al mantenimento, partecipazione agli utili, beni acquistati con essi e incrementi dell'azienda. L'azienda personale cogestita si differenzia dall'impresa familiare per il coinvolgimento attivo di entrambi i coniugi nella gestione. L'azienda personale gestita dal solo coniuge imprenditore può considerarsi un'impresa familiare se il coniuge collabora continuativamente, nonostante la mancanza di cogestione.

 

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