Comunione legale dei beni: atti compiuti in difetto di consenso di uno dei coniugi

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L'attività di straordinaria amministrazione dei beni e dei diritti compresi nella comunione legale vede la necessaria partecipazione di entrambi i coniugi al momento decisionale.

Cosa accade nell'ipotesi in cui, in violazione dell'art.180 cod.civ., una siffatta attività sia posta in essere unilateralmente da un coniuge soltanto? Al riguardo l'art.184 cod.civ. prevede, nel caso di mancata convalida dell'atto da parte dell'altro, l'annullabilità del relativo atto quando riguardi immobili o beni mobili di speciale rilevanza. 

L'articolo 184 del Codice Civile disciplina gli atti compiuti da un coniuge in regime di comunione legale senza il consenso dell'altro coniuge. Se tali atti riguardano beni immobili o beni mobili indicati nell'articolo 2683 del Codice Civile, e non vengono convalidati dall'altro coniuge, essi sono annullabili. I beni mobili indicati nell'articolo 2683 includono i beni mobili iscritti in pubblici registri, come automobili, navi, aeromobili, e altri beni mobili soggetti a trascrizione.

Il coniuge che non ha dato il consenso può proporre un'azione di annullamento entro un anno dalla data in cui è venuto a conoscenza dell'atto o, in ogni caso, entro un anno dalla trascrizione dell'atto nei pubblici registri. Se l'atto non è stato trascritto e il coniuge non ne ha avuto conoscenza prima dello scioglimento della comunione, l'azione non può essere proposta oltre un anno dallo scioglimento stesso.

Se invece gli atti riguardano beni mobili diversi da quelli indicati nell'articolo 2683, il coniuge che ha compiuto l'atto senza il consenso dell'altro è obbligato, su richiesta del coniuge leso, a riportare la comunione nello stato in cui era prima del compimento dell'atto. Qualora ciò non fosse possibile, il coniuge che ha agito senza consenso deve risarcire il valore equivalente al momento della ricostituzione della comunione. Questa norma è volta a tutelare i diritti di entrambi i coniugi sui beni rilevanti della comunione legale.

Dal punto di vista processuale è il caso di osservare come il coniuge rimasto estraneo all'atto di disposizione sia litisconsorte necessario nelle liti in cui venga domandata l'emissione di una pronunzia che incida sulla validità e/o l'efficacia dell’atto. 

Quindi, se un coniuge non ha partecipato o non ha dato il consenso a un atto di disposizione su un bene comune (ad esempio, la vendita di un immobile in regime di comunione legale), tale coniuge diventa liticonsorte necessario in una causa che riguarda la validità o l'efficacia di quell'atto.

In termini semplici, ciò significa che:

  1. Il coniuge estraneo all'atto (quello che non ha partecipato o non ha dato il consenso) deve essere coinvolto come parte del giudizio (liticonsorte necessario).

  2. Questo coinvolgimento è obbligatorio quando una delle parti (ad esempio, l'acquirente, un creditore, o il coniuge che ha compiuto l'atto) chiede al giudice di emettere una decisione che incida sulla validità o sull'efficacia di quell'atto di disposizione.

L'obiettivo è garantire che il coniuge non coinvolto nell'atto abbia l'opportunità di tutelare i propri diritti nel processo, poiché la decisione del giudice potrebbe influire sul suo interesse rispetto al bene comune.

Questo principio non si applica tuttavia nell'ipotesi in cui venga esperita azione revocatoria fallimentare (artt. 67, 68 L. fall.) o ordinaria (art.2901 cod.civ.) in riferimento all'atto di disposizione posto in essere dal coniuge fallito. In questi casi, il coniuge non coinvolto nell’atto non sarà litisconsorte necessario, dal momento che il rimedio non sortisce comunque alcun effetto restitutorio verso la comunione, producendo unicamente l'inefficacia della disposizione nei confronti della massa attiva (Cass. Civ. Sez. Unite, 9660/09; Cass. Civ., Sez. III, 26168/2014). 

Ecco un esempio pratico:

Immaginiamo che un coniuge, in regime di comunione legale, possieda un immobile in comunione con l’altro coniuge. Questo coniuge è un imprenditore e, a causa di difficoltà economiche, viene dichiarato fallito. Prima del fallimento, il coniuge fallito vende il suo 50% di proprietà dell'immobile a un amico per cercare di sottrarre il bene alla massa dei creditori.

Cosa accade?

  • Curatore fallimentare: Dopo la dichiarazione di fallimento, il curatore fallimentare scopre la vendita e promuove un’azione revocatoria fallimentare ai sensi dell’art. 67 della Legge Fallimentare. L’obiettivo è rendere inefficace la vendita nei confronti dei creditori, così che il 50% dell’immobile possa rientrare nella massa attiva del fallimento e essere utilizzato per soddisfare i creditori.

  • Effetti dell’azione: L’azione revocatoria, se accolta, non riporta automaticamente il 50% dell’immobile nella comunione legale tra i coniugi. L’effetto è solo quello di consentire ai creditori di considerare quell’immobile come parte del patrimonio del coniuge fallito, aggredendolo per soddisfare i propri crediti.

  • Restituzione alla comunione legale: In questo caso, non ci sono effetti restitutori verso la comunione legale, perché l’azione revocatoria è diretta esclusivamente a tutelare i creditori, non l'altro coniuge.

In sintesi, la revocatoria fallimentare annulla l'efficacia della vendita solo nei confronti della massa dei creditori, ma non restituisce il bene alla comunione legale tra i coniugi.

 

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