La costruzione teorica prevalente della figura della comunione legale tra coniugi fa riferimento ad una condizione di "contitolarità di beni", seppure non assimilabile alla comunione ordinaria.
In dottrina si è parlato di patrimonio separato, destinato al soddisfacimento dei bisogni familiari. La Corte Costituzionale ha definito la figura in esame come una "comunione senza quote".
Questa configurazione possiede anche una valenza tributaria in relazione ai cespiti che vi ricadono.
La comunione legale tra coniugi non riguarda solo l’aspetto patrimoniale dei beni acquistati durante il matrimonio, ma ha anche implicazioni fiscali rilevanti. Ciò significa che i beni inclusi nella comunione influenzano sia il calcolo delle imposte sia la responsabilità dei coniugi verso il Fisco.
Ad esempio, se i coniugi acquistano una casa durante il matrimonio, essa rientra nella comunione legale. Di conseguenza, le imposte di registro, ipotecarie o catastali relative all’acquisto sono calcolate sull’intero valore dell’immobile, ma entrambi i coniugi sono fiscalmente responsabili per il pagamento, anche se uno solo effettua il versamento.
Allo stesso modo, se la casa viene affittata e genera un reddito, questo reddito è considerato comune e deve essere dichiarato al 50% da ciascun coniuge, indipendentemente da chi percepisce effettivamente il canone d’affitto.
Un altro aspetto importante riguarda i debiti fiscali. Se uno dei coniugi contrae un debito personale con il Fisco, la sua quota dei beni in comunione può essere utilizzata per saldarlo, ma l’intero immobile non può essere espropriato. L’altro coniuge, infatti, ha diritto a tutelare la sua quota del bene comune, pari al 50%.
La Cassazione, con la sentenza 3557/2018, ha chiarito che la comunione legale non è solo una questione patrimoniale, ma ha anche una valenza tributaria. Questo significa che entrambi i coniugi condividono diritti e doveri fiscali derivanti dai beni comuni, creando una sorta di vincolo solidale nei confronti del Fisco.
In sintesi, la comunione legale implica che i beni comuni siano soggetti a una gestione condivisa non solo a livello patrimoniale, ma anche fiscale. I coniugi devono quindi essere consapevoli che le imposte, i redditi e le eventuali responsabilità derivanti dai beni comuni li coinvolgono entrambi, anche se solo uno dei due ha compiuto atti di gestione o pagamenti.
L'eventuale espropriazione di un bene rientrante nella comunione legale, anche se dipende da debiti attribuibili a uno solo dei coniugi, non potrà non riguardare l'intero bene. L'altro coniuge avrà diritto a ricevere almeno la metà del ricavato derivante dall'espropriazione forzata. Tuttavia, entrambi i coniugi, anche in regime di comunione legale, possono compiere atti pregiudizievoli per i creditori, anche se i debiti riguardano solo uno di loro. In tali casi, è sufficiente che il creditore intraprenda un'azione revocatoria ordinaria ai sensi dell'articolo duemilanovecentouno del Codice Civile, nei confronti del coniuge debitore, senza necessità di coinvolgere l'altro coniuge nel processo.
Quello che interessa ai fini dell'apprezzamento dell'eventuale consistenza soggettiva della figura, è verificarne la disciplina concreta, con particolare riferimento al regime di responsabilità patrimoniale "esterno" rispetto ai coniugi. Ai sensi dell'articolo 189, secondo comma del Codice Civile: "i creditori particolari di uno dei coniugi possono soddisfarsi in via sussidiaria sui beni della comunione fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato".
Inversamente, l'articolo 190 del codice civile, dispone che i creditori possono agire in via sussidiaria sui beni personali di ciascuno dei coniugi, nella misura della metà del credito, quando i beni della comunione non sono sufficienti a soddisfare i debiti su di essa gravanti.
In effetti si può dunque riscontrare una certa autonomia dei beni della comunione rispetto a quelli appartenenti esclusivamente al singolo coniuge, tanto da giustificare l'opinione di chi, in dottrina, ne valuta positivamente l'aspetto soggettivo. Tale esito ermeneutico è peraltro negato dalla maggioranza degli interpreti.