Disciplina transitoria della comunione legale

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Il passaggio operato dal legislatore del 1975 dal regime della separazione dei beni a quello della comunione legale come regime patrimoniale "ordinario" tra i coniugi è stato dettato dall'esigenza di porre il valore dell'apporto del lavoro della donna (sia esso tra le mura di casa, sia al di fuori delle stesse).

La comunione dei beni è stata pertanto ritenuta espressione della piena comunanza del risultato di una operosità che vede entrambi i coniugi equiparati anche sotto il profilo dell'aspetto patrimoniale.

La comunione come regime legale non viene tuttavia a ledere l'autonomia della coppia, essendo ammissibile la possibilità di una diversa scelta fin dalla celebrazione del matrimonio. Gli sposi hanno infatti la possibilità di dichiarare di comune accordo all'ufficiale celebrante di voler optare per il regime della separazione dei beni, così impedendo ab initio l'instaurazione del regime della comunione (art. 162, II comma, cod.civ. ).

Per quanti fossero già uniti in matrimonio anteriormente all'entrata in vigore della Legge 151/75 (dunque soggetti al regime della separazione) è stata predisposta un'apposita norma transitoria (art. 228 L. 19 maggio 1975, n. 151) in forza della quale era stato previsto un periodo di due anni a far tempo dalla legge di riforma (successivamente prorogato fino al 15 gennaio 1978) per consentire anche ad uno soltanto dei coniugi di esprimere la propria volontà intesa a mantenere la separazione, evitando così l'instaurazione del nuovo regime di comunione legale.

Pertanto, durante questo periodo, uno qualsiasi dei coniugi, recandosi da un notaio o dall'ufficiale dello stato civile del luogo in cui fu celebrato il matrimonio, avrebbe potuto dichiarare, con atto unilaterale, di non volere il regime di comunione legale. Non sono ammessi succedanei: in particolare è stata esclusa la possibilità che possa sortire gli stessi effetti la domanda diretta ad ottenere lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 24867/2014).

Al contrario, nel caso in cui nessuno dei due coniugi avesse posto in essere un atto siffatto nel termine indicato, la coppia è stata automaticamente assoggettata al regime di comunione legale, in essa comprendendosi tutti gli acquisti effettuati a far tempo dalla data del 20 settembre 1975. Le comunioni convenzionali stipulate anteriormente alla riforma del 1975 si reputano assoggettate al nuovo regime previsto per la comunione legale (Cass. Civ. Sez. I, 3087/95). Ne segue che gli acquisti operati da coniugi che si siano sposati prima della data di entrata in vigore della legge, il regime della comunione opera anche per gli acquisti effettuati dai coniugi (anche separatamente, dunque senza la partecipazione di ciascuno di essi) nel tempo intercorrente tra la data di entrata in vigore della riforma e il giorno 15 gennaio 1978, termine del periodo transitorio (Cass. Civ., Sez. Lavoro, 13089/13).

I coniugi che hanno contratto matrimonio successivamente alla data del 20 settembre 1975, salve le cose già dette, anche dopo la celebrazione del matrimonio, mediante atto pubblico, possono anche accordarsi per la costituzione di un regime patrimoniale alternativo alla comunione legale dei beni. Essi hanno infatti la possibilità di convenire non soltanto la separazione dei beni, assumendo e conservando ciascuno la titolarità esclusiva dei beni che verrà ad acquistare nel corso del matrimonio, bensì anche la costituzione di un fondo patrimoniale o di una comunione convenzionale.

Non è consentita nessuna diversa convenzione, con particolare riferimento all'espresso divieto di stipulare pattuizioni tendenti direttamente o indirettamente alla costituzione di beni in dote (art. 166 bis cod.civ. ), ovvero a derogare ai diritti e ai doveri relativi ai rispettivi oneri di contribuzione agli oneri della vita matrimoniale e della famiglia (art. 160 cod.civ. ).

 

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