Effetti personali e patrimoniali del divorzio

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A differenza della separazione personale, che comporta la sospensione di alcuni effetti del vincolo matrimoniale, il divorzio determina lo scioglimento del rapporto tra i coniugi e la cessazione definitiva degli effetti ex nunc.

Mentre gli effetti tra le parti, i loro eredi e aventi causa si verificano dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza (2909 c.c.), nei confronti dei terzi rileva il giorno dell'annotazione della sentenza nei registri di stato civile. Il cancelliere estrae una copia autentica della sentenza di divorzio passata in giudicato e la trasmette all'ufficiale di stato civile del comune in cui il matrimonio è stato trascritto, per le annotazioni (art. 10, comma 1, legge n. 898/1970).

Nel caso di divorzio tramite le procedure stragiudiziali introdotte dalla Legge n. 162 del 2014, gli effetti decorrono in maniera diversa a seconda della modalità scelta. Per il divorzio tramite negoziazione assistita, gli effetti iniziano dalla data in cui l’accordo viene sottoscritto dalle parti e dai loro avvocati. Tuttavia, questo accordo deve essere trasmesso entro dieci giorni al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente. Il procuratore rilascia il nullaosta, quando non ci sono figli minori, incapaci, portatori di handicap o economicamente non autosufficienti, oppure concede un’autorizzazione. Successivamente, l’accordo deve essere trasmesso all’ufficiale dello stato civile per la trascrizione.

Nel caso di divorzio davanti all’ufficiale dello stato civile, gli effetti decorrono dalla data in cui l’accordo viene concluso. Questo tipo di procedura è riservato alle situazioni in cui non ci siano figli minori, incapaci, portatori di handicap o economicamente non autosufficienti, e l’accordo non preveda disposizioni patrimoniali.

Per quanto riguarda gli effetti nei confronti dei terzi, essi decorrono solo dalla trascrizione dell’accordo nei registri dello stato civile. Nel caso della negoziazione assistita, l’accordo deve essere trasmesso per la trascrizione affinché gli effetti diventino opponibili ai terzi. Anche quando l’accordo è concluso direttamente davanti all’ufficiale di stato civile, l’opponibilità ai terzi è legata alla trascrizione formale nei registri. In sostanza, mentre gli effetti personali tra le parti possono decorrere dalla sottoscrizione dell’accordo o dalla sua conclusione davanti all’ufficiale, l’opponibilità verso i terzi dipende esclusivamente dalla trascrizione ufficiale.

A seguito del divorzio, il vincolo matrimoniale si scioglie definitivamente, portando con sé conseguenze rilevanti sia sullo status personale dei coniugi sia sulle loro sfere patrimoniali. Sul piano personale, il divorzio comporta il ritorno allo stato libero, permettendo ai coniugi di contrarre un nuovo matrimonio civile.

Inoltre, la moglie perde il cognome del marito, e vengono meno tutti i doveri coniugali, come la fedeltà, la coabitazione, l'assistenza morale, l'ausilio materiale e la collaborazione.

Dal punto di vista patrimoniale, il divorzio può prevedere l'assegnazione di un assegno divorzile, che può essere corrisposto periodicamente o in un’unica soluzione, qualora ci sia un accordo tra le parti.

Questo assegno, regolato dalla legge e dalle più recenti interpretazioni giurisprudenziali, serve a garantire al coniuge più vulnerabile un certo grado di autonomia e indipendenza economica. Inoltre, con il divorzio si perde ogni diritto successorio nei confronti dell'ex coniuge. Tuttavia, in caso di decesso dell'ex coniuge, il coniuge superstite può avere diritto a una quota della pensione di reversibilità, a condizione che il rapporto di lavoro del defunto sia iniziato prima della sentenza di divorzio, che il superstite non si sia risposato e che percepisca l'assegno divorzile.

Esistono anche altre disposizioni di natura economica. Per esempio, il coniuge divorziato non risposato può ricevere una quota pari al 40% dell'indennità di fine rapporto maturata dall’altro coniuge per gli anni di matrimonio coincidenti con il periodo di lavoro. Inoltre, il divorzio comporta la cessazione della destinazione del fondo patrimoniale, la fine della comunione legale dei beni e la conclusione della partecipazione dell'ex coniuge all’impresa familiare.

Per quanto riguarda i figli, il divorzio non modifica i doveri verso i figli minori o maggiorenni non autosufficienti, né altera la potestà genitoriale. In caso di affidamento condiviso, entrambi i genitori continuano a esercitarla congiuntamente, mantenendo diritti e doveri previsti dalla legge per garantire il benessere dei figli. La presenza di figli ha anche un impatto sull'assegnazione della casa coniugale.

Se ci sono figli minorenni, la casa può essere assegnata a uno dei coniugi, che avrà il compito di occuparsene, mentre l'altro coniuge sarà obbligato a contribuire con un assegno di mantenimento.

In caso di affidamento condiviso, la casa può essere assegnata a entrambi i coniugi in modo congiunto, garantendo così una soluzione più equilibrata per la gestione della prole.


L’assegno divorzile                                                                             

L'assegno divorzile è una forma di obbligo in cui uno dei coniugi, dopo il divorzio, è tenuto a versare periodicamente all'altro un contributo finanziario, nel caso in cui quest'ultimo non disponga di mezzi adeguati o non sia in grado di procurarseli per ragioni oggettive.

La Legge sul Divorzio (art. 5) prevede la corresponsione di un assegno periodico nei casi in cui un coniuge non abbia adeguati mezzi economici o abbia difficoltà di procurarseli per ragioni oggettive, tenuto conto del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio personale o comune durante il matrimonio, dei redditi di entrambi e della durata del matrimonio.

Più nel dettaglio, la disciplina dell’assegno divorzile è contenuta nell’art. 5 comma 6 della Legge sul divorzio (L. 898/1970). 

L’art. 5 comma 6 L. 898/70 stabilisce che il Tribunale, con la sentenza con cui dispone lo scioglimento del matrimonio, può stabilire l’obbligo di un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno, quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. Secondo l’art. 5 comma 6, la decisione del Tribunale deve tenere conto di una serie di criteri ed in particolare “delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio”.

Il successivo comma 7 prevede che il Tribunale indichi in sentenza il criterio di rivalutazione dell’assegno (es: indici Istat).

A norma del comma 8 l’assegno può essere corrisposto anche una tantum, ovvero in un’unica soluzione, anziché con corresponsione periodica. In questo caso, non è possibile poi chiedere in futuro ulteriori somme.

Se il coniuge destinatario dell’assegno divorzile si risposa, il comma 9 stabilisce che l’altro coniuge non sia più tenuto al versamento dell’assegno.


Differenza fra assegno di mantenimento e assegno divorzile

L'assegno di mantenimento e l'assegno divorzile sono concetti distinti e non devono essere confusi, differiscono non solo nel momento in cui vengono stabiliti ma anche nella loro sostanza.

L'assegno di mantenimento può essere riconosciuto al coniuge in sede di separazione personale e presuppone l'esistenza del rapporto matrimoniale, con tutti i relativi obblighi patrimoniali e assistenziali connessi allo stato di coniugio. La fonte normativa dell'assegno di mantenimento è l'articolo 156 del codice civile italiano. Poiché questo assegno è strettamente legato alla persistenza del vincolo coniugale, il criterio del "tenore di vita" può ancora essere utilizzato nella sua quantificazione. Tuttavia, è importante notare che questo criterio è stato superato in riferimento all'assegno divorzile.

La citata ordinanza della Corte di Cassazione Civile, Sezione VI - 1, del 27 ottobre 2020, numero 23482, conferma questa distinzione e sottolinea il superamento del criterio del "tenore di vita" nell'assegno divorzile. Ciò significa che, mentre il mantenimento può ancora essere valutato in base al tenore di vita matrimoniale, l'assegno divorzile segue un approccio diverso.

Questa differenza riflette un cambiamento di prospettiva nella giurisprudenza, evidenziato anche da altre decisioni della Corte Suprema, che hanno spostato l'attenzione dalla mera continuità del tenore di vita a considerazioni più ampie, come l'autoresponsabilità economica dei coniugi e la necessità di bilanciare le disparità economiche derivanti dallo scioglimento del matrimonio.

In sintesi, l'ordinanza sottolinea la necessità di distinguere tra assegno di mantenimento e assegno divorzile, con quest'ultimo che segue un approccio diverso rispetto al criterio del "tenore di vita" associato all'assegno di mantenimento, indicando così una chiara evoluzione nella valutazione e nella quantificazione degli assegni post-matrimoniali in Italia.

 

Assegno divorzile: parametri per la sua assegnazione e quantificazione

Come già accennato, L'articolo 5, VI, della legge n. 898/1970 stabilisce l'obbligo per un coniuge di erogare un assegno post-matrimoniale a favore dell'altro nel caso in cui, a seguito dello scioglimento del matrimonio, quest'ultimo "non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive". Il beneficiario dell'assegno può richiederne l'attribuzione sia contestualmente allo scioglimento del matrimonio, con la pronuncia inclusa nella sentenza di divorzio, sia successivamente. Nel secondo caso, la sentenza assume la natura di un accertamento di un diritto già esistente e comporta una condanna al pagamento di un importo liquido ed esigibile.

Questo obbligo di erogare l'assegno divorzile riflette la preoccupazione legislativa nei confronti di un coniuge che, a seguito del divorzio, si trovi in una situazione di svantaggio economico e non disponga di mezzi sufficienti per mantenere uno standard di vita adeguato. La possibilità di richiedere l'assegno contemporaneamente allo scioglimento del matrimonio o in un secondo momento offre flessibilità alle parti coinvolte, consentendo loro di adire alle vie legali per ottenere il sostegno finanziario necessario in base alle circostanze specifiche della separazione.

Inoltre, la sentenza di divorzio non solo accerta il diritto all'assegno, ma ne determina anche l'importo, rendendolo liquido ed esigibile. Ciò implica che il coniuge tenuto al pagamento è legalmente vincolato a fornire il sostegno finanziario stabilito dalla sentenza. In questo modo, la normativa cerca di garantire una procedura chiara e definita per l'assegnazione dell'assegno divorzile, assicurando un trattamento equo e trasparente per entrambi i coniugi coinvolti nella separazione.

Il requisito relativo all'adeguatezza dei mezzi è stato interpretato come la necessità di dimostrare l'incapacità di mantenere uno stile di vita simile a quello matrimoniale per ottenere l'assegno post-matrimoniale. Questa dimostrazione deve essere accompagnata dalla prova della probabile continuità di tale stile di vita nel caso in cui il matrimonio fosse proseguito.

In passato, l'approccio tradizionale non richiedeva che il coniuge beneficiario si trovasse in uno stato di bisogno, poiché poteva anche essere economicamente autosufficiente. Ciò che risultava rilevante era il significativo deterioramento delle condizioni economiche precedenti, causato dal divorzio, ovvero l'incapacità di mantenere lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio. In questo contesto, l'assegno di divorzio e l'assegno di separazione erano considerati in una prospettiva di continuità, in quanto il presupposto per la somministrazione della prestazione post-matrimoniale sembrava essere il medesimo per entrambi gli istituti menzionati.

In aggiunta, risultavano rilevanti i redditi e le sostanze non solo del coniuge richiedente, ma di entrambi i soggetti coinvolti. Questo non solo al fine di valutare il livello economico-sociale complessivo della famiglia, ma anche per determinare se le condizioni finanziarie dell'istante avessero effettivamente subito un deterioramento in seguito alla crisi matrimoniale.

L'analisi dei redditi e delle risorse di entrambi i coniugi si configurava come un elemento cruciale per una valutazione completa delle conseguenze finanziarie del divorzio. Questo approccio consentiva di comprendere appieno l'impatto economico della separazione sulla situazione complessiva della famiglia, consentendo al tribunale di formulare decisioni informate riguardo all'assegnazione dell'assegno post-matrimoniale.

Risultava evidente il carattere esclusivamente assistenziale dell'assegno divorzile, il quale era giustificato dalla mancanza di mezzi adeguati da parte del coniuge richiedente. Tali mezzi includevano non solo i redditi, ma anche i patrimoni e altre risorse di cui il richiedente poteva disporre. L'obiettivo primario di questo assegno era preservare un tenore di vita simile a quello sperimentato durante il matrimonio.

La giurisprudenza implementava una netta separazione tra i criteri che attribuivano l'assegno e quelli che determinavano il suo ammontare. L'ottenimento dell'assegno divorzile, quindi, seguiva un processo articolato in due fasi progressiva. La prima fase si basava sulla valutazione dell'an debeatur, con la verifica della reale mancanza di mezzi adeguati da parte dell'ex coniuge richiedente e dell'impossibilità di procurarseli al fine di mantenere il tenore di vita goduto durante il matrimonio. La seconda fase riguardava il quantum debeatur, ovvero la determinazione dell'importo dell'assegno, che veniva affrontata solo in caso di esito positivo della prima fase.

L'orientamento prevalente nella giurisprudenza riteneva che le ragioni alla base della decisione di divorzio, il contributo personale ed economico di ciascun coniuge nella gestione familiare e nella costruzione del patrimonio, e la durata del rapporto coniugale fossero indici rilevanti solo ai fini della quantificazione dell'assegno, e non nella sua concessione iniziale.

Con la sentenza Grilli (Cass.Civ. sentenza n. 11504/2017) l’inadeguatezza dei redditi del coniuge debole, non deve essere più rapportata al tenore di vita goduto durante il matrimonio, ma alla mancanza di autosufficienza economica dell’altro coniuge, utilizzando, come parametri da valutare a tal fine, il possesso di redditi di qualsiasi specie, il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari, la capacità e possibilità effettive di lavoro personale e la disponibilità di una casa di abitazione.

Attraverso la sentenza Grilli sono state apportate delle modifiche significative nel parametro utilizzato per valutare l'insufficienza dei mezzi del coniuge richiedente. Invece di basarsi esclusivamente sul tenore di vita durante il matrimonio, il nuovo criterio enfatizza la non autosufficienza economica del coniuge stesso.

Va sottolineato che solo dopo aver stabilito positivamente questo presupposto, i criteri per la determinazione dell'assegno, indicati nella prima parte della norma, possono essere esaminati come elemento espansivo del quantum.

La prima fase, orientata al principio di autoresponsabilità economica dei singoli ex coniugi, tiene conto della dissoluzione del legame matrimoniale. Gli indicatori principali di indipendenza economica includono, non in modo esaustivo, la presenza di redditi di varia natura, la disponibilità di beni patrimoniali al netto degli oneri e dei costi della vita nel luogo di residenza, le capacità lavorative in relazione a sesso, età e mercato del lavoro, e la stabile disponibilità di una casa.

Il divario economico tra i redditi e le sostanze degli ex coniugi risulta irrilevante. L'onere della prova in merito alla dipendenza economica grava sul richiedente l'assegno, e questi indici devono essere esaminati caso per caso.

Va precisato che l'art. 5, comma 6, della Legge n. 898/1970 prevede che solo ai fini della liquidazione dell'assegno, e non per il suo riconoscimento iniziale, il giudice tenga conto delle ragioni della decisione di divorzio, del contributo personale ed economico di ciascuno nella conduzione familiare e nella formazione del patrimonio, nonché della durata del rapporto coniugale.

Il principio di autoresponsabilità economica non si applica solo al riconoscimento iniziale del diritto all'assegno divorzile ma deve anche guidare la valutazione dell'impatto di eventuali cambiamenti che potrebbero giustificare la revisione delle condizioni divorzili o la revoca dell'assegno (Cass. civ., n. 19721 del 2017).

Di fondamentale importanza è la sentenza emessa a sezioni unite n. 18287 dell’11 luglio 2018, con cui la Cassazione ha fornito una nuova interpretazione della legge in materia di assegno divorzile.Il criterio dell’autosufficienza non può da solo stare alla base del giudizio di fondatezza della domanda di assegno. Il giudizio di adeguatezza dei mezzi, in sostanza, deve essere rapportato non solo all’insufficienza oggettiva ma anche a quello che si è contribuito a realizzare nella famiglia. Il ruolo del singolo coniuge nella relazione matrimoniale costituisce un fattore importante, frutto di scelte comuni che si fondano sull’autodeterminazione e sull’autoresponsabilità, e che incidono sul profilo economico-patrimoniale post matrimoniale.

Il riconoscimento dell’assegno di divorzio deve avvenire applicando un criterio composito, ossia valutando:

  • le rispettive condizioni economiche dei coniugi;

  • il contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale;

  • la durata del matrimonio e l’età dell’avente diritto.

Le Sezioni Unite, nonostante l'apprezzamento per la sentenza Grilli nel valorizzare l'autoresponsabilità e limitare il criterio del tenore di vita, ne hanno riconosciuto i limiti e l'hanno sottoposta a riesame (n. 18287 del 2018). La critica principale riguarda la mancanza di considerazione per fattori oggettivi e interrelazionali che influenzano la situazione complessiva degli ex coniugi dopo il divorzio.

Le Sezioni Unite hanno confrontato la sentenza Grilli con l'orientamento precedente del 1990, sottolineando la comune distinzione tra il criterio attributivo assistenziale e gli altri criteri determinativi. Entrambi i parametri del tenore di vita e della sufficienza economica sono stati ritenuti esposti al rischio di astrattezza. La marginalizzazione dell'apporto dell'ex coniuge alla vita familiare è stata criticata, evidenziando il suo ruolo cruciale nelle scelte che possono influenzare gli equilibri economici post-matrimoniali.

Le Sezioni Unite hanno abbandonato la rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi, interpretando l'art. 5, co. 6 in modo più coerente con i principi costituzionali di uguaglianza, parità dei coniugi, libertà di scelta e autoresponsabilità. L' assegno di divorzio è stato riconosciuto con funzione assistenziale, compensativa e perequativa.

L'adeguatezza dell'assegno richiede una valutazione concreta dei mezzi disponibili e dell'incapacità di procurarseli per ragioni oggettive, considerando anche il contributo dato alla stabilità patrimoniale del nucleo familiare e le aspettative professionali eventualmente sacrificate. Gli indicatori dell'art. 5, co. 6, riflettono il principio di solidarietà, rendendo l'adeguatezza una valutazione dinamica che tiene conto del contributo effettivo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio comune.

La funzione riequilibratrice dell'assegno divorzile non mira a ripristinare il tenore di vita matrimoniale, ma a riconoscere il ruolo concreto svolto dal coniuge economicamente più debole nel tempo, nel rispetto dei principi di autosufficienza, autoresponsabilità e solidarietà. Le conseguenze delle scelte familiari durante il matrimonio devono essere considerate nella valutazione dell'adeguatezza, rendendola una valutazione attenta al contesto e alle dinamiche familiari attuali.

Nell'importante pronuncia in questione, quindi, viene stabilita la natura composita dell'assegno divorzile, che svolge contemporaneamente funzioni assistenziali, compensative e perequative. Questo riconosce il principio di solidarietà post-coniugale, finalizzato a riequilibrare le disparità economiche tra gli ex coniugi causate dallo scioglimento del matrimonio. Il diritto all'assegno è condizionato dall'accertamento della mancanza di mezzi adeguati da parte di uno degli ex coniugi, valutato concretamente in relazione a uno squilibrio economico significativo tra le parti. La nozione di "mezzi adeguati" richiede un'analisi approfondita della situazione patrimoniale di entrambi gli ex coniugi dopo il divorzio, compiuta anche tramite poteri officiosi, per verificare se il divario reddituale sia derivato da un sacrificio dell'ex coniuge a favore delle esigenze familiari. È importante notare che la sentenza abbandona definitivamente il criterio del tenore di vita matrimoniale e la distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell'assegno divorzile.

Le disposizioni per il calcolo dell'assegno divorzile sono state ulteriormente definite da una decisione successiva del 2019 (Cass. civ., I, n. 11178 del 2019), alla luce della sentenza delle Sezioni Unite n. 18287 del 2018 che ha abbandonato definitivamente il criterio del mantenimento del tenore di vita coniugale.

Al fine di determinare se e in quale misura concedere l'assegno divorzile richiesto, il giudice deve confrontare le condizioni economico-patrimoniali delle parti, avvalendosi anche dei suoi poteri officiosi. Nel caso in cui emerga l'inadeguatezza dei mezzi del richiedente o, comunque, l'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, il giudice deve verificare se tale squilibrio sia una conseguenza del contributo fornito dal richiedente stesso alla gestione familiare e alla formazione del patrimonio comune e individuale, con il sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali. Questa valutazione tiene conto dell'età del richiedente e della durata del matrimonio, come stabilito dall'articolo 5, VI, della legge n. 898/1970.

Considerando il caso in cui l'ex coniuge beneficiario dell'assegno opti per un'occupazione a tempo parziale, comportando un reddito da lavoro inferiore, la Corte Suprema ha sottolineato che per valutare l'inadeguatezza dei mezzi economici del richiedente e la sua incapacità di procurarseli per ragioni oggettive, il giudice deve esaminare se tale scelta era condivisa dalla coppia durante il matrimonio, implicando un sacrificio delle aspettative professionali e reddituali della parte. D'altra parte, è necessario determinare se la decisione è stata presa autonomamente dalla stessa parte, anche se svincolata da obblighi familiari, senza sfruttare appieno la propria capacità lavorativa (Cass. civ., I, n. 23318 del 2021). Nel caso in cui la scelta sia stata influenzata dalle esigenze familiari e dall'accudimento dei figli, i relativi impatti devono essere debitamente considerati per stabilire l'assegno.

Infine, il giudice dovrà quantificare l'assegno non in relazione al precedente tenore di vita familiare né al criterio dell'autosufficienza economica, bensì in base all'importo necessario per assicurare al beneficiario un reddito adeguato al contributo sopra menzionato.                                                                                                                                                                                                                                                            

La rivalutazione dell’assegno divorzile                                                      

Il comma 7 dell'articolo 5 della Legge 898/70 prevede che il Tribunale, nel determinare l'assegno divorzile, specifichi il criterio di rivalutazione dell'importo allo scopo di mantenerlo adeguato al costo della vita nel tempo. Di solito, questa rivalutazione avviene utilizzando gli indici Istat, che sono pubblicati periodicamente in Gazzetta Ufficiale e sul sito dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Dopo il primo anno dalla pronuncia del Tribunale, l'importo dell'assegno viene rivalutato moltiplicando l'importo originario per l'indice di variazione. Negli anni successivi, il parametro di riferimento sarà l'importo dell'assegno dell'anno precedente, rivalutato secondo gli indici dell'anno in corso.


La revoca dell’assegno divorzile: passaggio dell’avente diritto a nuove nozze e Nuova convivenza di fatto

Il comma 10 dell'art. 5 della Legge 898/1970 stabilisce che il diritto all'assegno divorzile cessa nel caso in cui l'avente diritto contragga nuove nozze. Tuttavia, la giurisprudenza recente ha ampliato la causa di perdita dell'assegno includendo l'instaurarsi di una convivenza di fatto, a condizione che questa sia stabile e duratura.

Le Sezioni Unite della Cassazione, si sono espresse chiarendo che l’instaurarsi di una convivenza di fatto stabile e duratura da parte dell'avente diritto non comporta automaticamente l'estinzione dell'assegno divorzile, ma richiede un’analisi più approfondita. Nella loro pronuncia (Cass. civ., Sez. Unite, Sentenza n. 32198 del 5 novembre 2021), le Sezioni Unite hanno affermato che la convivenza può incidere sull’assegno, ma la revoca o la rideterminazione del suo importo non avviene in modo automatico.

È necessario valutare caso per caso se permanga la funzione compensativa dell'assegno, cioè se esso continui a rispondere alla necessità di riequilibrare le disparità economiche create durante il matrimonio e legate al contributo dato dall'avente diritto alla vita familiare e al patrimonio dell’altro coniuge.

Le Sezioni Unite hanno inoltre precisato che, nel caso di convivenza di fatto, il giudice deve accertare l'impatto di tale convivenza sulla situazione economica dell'avente diritto e sul suo livello di autosufficienza economica. Se la convivenza produce un miglioramento significativo della condizione economica dell'ex coniuge, ciò potrebbe giustificare una riduzione o, in casi estremi, la cessazione dell'assegno. Tuttavia, se la funzione compensativa non è esaurita, l'assegno potrebbe essere mantenuto, anche se rimodulato.

In sintesi, le Sezioni Unite hanno adottato un approccio flessibile, improntato a garantire l’equità e a considerare le specificità del caso concreto. Questo orientamento sottolinea l'importanza di bilanciare il diritto dell'avente diritto con la necessità di adeguarsi ai cambiamenti sopravvenuti nella sua vita personale ed economica, evitando automatismi che potrebbero risultare ingiusti in determinate situazioni.


Revisione dell’assegno divorzile 

Nel contesto della revisione dell'assegno divorzile, il giudice, di fronte alla dimostrazione di cambiamenti significativi nelle condizioni economiche della coppia, non può rivalutare autonomamente i presupposti o l'importo dell'assegno, basandosi su un differente bilanciamento delle situazioni economiche già analizzate nella sentenza di divorzio. Seguendo i principi espressi dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 18287 del 2018, il giudice deve invece verificare in che modo e in quale misura le mutate circostanze, dimostrate dalle parti, abbiano inciso sugli equilibri economici stabiliti dalla sentenza di divorzio.

Questo approccio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 3761/2024, depositata dalla prima sezione civile il 12 febbraio. I giudici hanno sottolineato che la revisione dell'assegno richiede la presenza di "giustificati motivi" e presuppone l'accertamento di una modifica sopravvenuta, concreta e rilevante nelle condizioni economiche degli ex coniugi, attraverso un confronto delle rispettive situazioni reddituali e patrimoniali.

Pertanto, qualora le ragioni avanzate per la revisione giustifichino una riduzione o una revoca dell'assegno divorzile, è essenziale verificare con precisione la concretezza dei mutamenti e stabilire un nesso causale tra tali cambiamenti e la nuova situazione economica delle parti.


Ulteriori effetti del divorzio: diritto ad una quota del TFR

Il diritto del coniuge divorziato di ricevere una percentuale del trattamento di fine rapporto (TFR) dell'ex coniuge è condizionato a diversi requisiti legali. In primo luogo, la sentenza di divorzio deve essere stata pronunciata, indicando la volontà dei coniugi di porre fine al matrimonio. È essenziale che il TFR non sia maturato prima del deposito in tribunale del ricorso per il divorzio. In altre parole, al momento del deposito del ricorso, il coniuge richiedente non deve ancora essersi dimesso o essere stato licenziato.

Se durante il matrimonio uno dei coniugi riceve il TFR, l'altro coniuge non ha diritto a nulla. Lo stesso principio si applica se il TFR viene ricevuto durante il processo di separazione legale o dopo la separazione ma prima del deposito della richiesta di divorzio. In questi casi, il TFR sarà preso in considerazione per valutare la situazione economica del coniuge, specialmente per determinare un eventuale assegno di mantenimento.

Per ottenere una quota del TFR, il coniuge richiedente deve già ricevere un assegno mensile per il mantenimento. Se non c'è alcun assegno o se è stato versato in un'unica soluzione, il diritto non sussiste. Inoltre, il coniuge richiedente non deve essersi risposato per poter presentare una richiesta per ottenere una parte del TFR.

L'ex coniuge può rivolgersi al tribunale per ottenere informazioni sul TFR dell'altro coniuge e, se necessario, chiedere un ordine di esibizione al datore di lavoro dell'ex coniuge per verificare l'ammontare del TFR.

È importante notare che il diritto a ricevere una parte del TFR si perde solo in caso di nuove nozze del richiedente, mentre una convivenza non costituisce un impedimento a meno che non comporti la revoca dell'assegno di mantenimento.

Se tutti i requisiti sono soddisfatti, l'ex coniuge avrà diritto al 40% del TFR accantonato durante il periodo di matrimonio. Questa percentuale sarà calcolata sulla base degli anni di vita matrimoniale, inclusi eventuali periodi di separazione prima del divorzio.


Pensione di reversibilità

In caso di morte dell’ex coniuge sorge il diritto a percepire la pensione di reversibilità, se il rapporto pensionistico è anteriore alla sentenza di divorzio (art. 9, comma 2, L. Div.).

L'articolo stabilisce che l'ex coniuge ha diritto alla pensione di reversibilità in caso di morte dell'altro coniuge, a condizione che vengano rispettati alcuni requisiti specifici. Innanzitutto, il diritto sorge solo se non esiste un altro coniuge superstite che possa beneficiare della pensione di reversibilità. Inoltre, l'ex coniuge deve essere titolare di un assegno divorzile periodico, previsto dall'articolo 5 della Legge sul Divorzio, escludendo quindi coloro che hanno ricevuto l'assegno in un’unica soluzione, comunemente noto come assegno «una tantum».

Un ulteriore requisito essenziale è che l'ex coniuge non sia passato a nuove nozze, poiché il risposarsi comporta la perdita del diritto alla reversibilità. Infine, è necessario che il rapporto di lavoro da cui deriva il trattamento pensionistico sia iniziato prima della sentenza di divorzio. In assenza di queste condizioni, l'ex coniuge non può accedere alla pensione di reversibilità. Di conseguenza, solo il rispetto di tutti questi criteri consente di riconoscere questo diritto.

La giurisprudenza di legittimità ha recentemente stabilito che, in materia di divorzio, l'ex coniuge titolare dell'assegno divorzile conserva il diritto alla quota della pensione di reversibilità prevista dall'art. 9 della Legge n. 898 del 1970. Tale diritto non può essere escluso esclusivamente a causa dell'eventuale mancata percezione dell'assegno per un periodo prolungato, in assenza di iniziative giudiziarie o stragiudiziarie da parte del beneficiario. L'inerzia dell'avente diritto, infatti, non equivale automaticamente a una rinuncia all'assegno, in mancanza di una specifica verifica giudiziale sulla reale sussistenza di tale rinuncia e sui suoi effetti sui presupposti per la percezione (Cass. civ., sez. I, 12 ottobre 2021, n. 27875).

Le Sezioni Unite hanno chiarito, inoltre, che per il riconoscimento della pensione di reversibilità in favore dell'ex coniuge, il requisito essenziale è la titolarità attuale e concreta dell'assegno periodico divorzile al momento del decesso dell'ex coniuge. Questo requisito non si realizza nel caso in cui l'assegno divorzile sia stato corrisposto in un'unica soluzione («una tantum»), poiché tale modalità di pagamento esclude la sussistenza del presupposto solidaristico che giustifica il trattamento di reversibilità. Quest'ultimo, infatti, si basa sul sostegno economico continuativo a favore dell'ex coniuge, che non può essere riconosciuto nel caso di corresponsione unica e definitiva dell’assegno divorzile (Cass. civ., sez. un., 24 settembre 2018, n. 22434).

In sintesi, la titolarità attuale dell'assegno divorzile, indispensabile per accedere alla pensione di reversibilità, viene meno solo in presenza di un provvedimento giudiziale che accerti la rinuncia definitiva a tale diritto. Al contrario, nel caso di corresponsione in unica soluzione, la titolarità concreta non sussiste, in quanto viene meno il legame economico continuativo tra i due ex coniugi.


Doveri verso i figli

Anche quando cessa l’unione matrimoniale, non vengono meno con la pronuncia di divorzio i doveri verso i figli minori o maggiorenni non autosufficienti e la potestà genitoriale.

In caso di divorzio e di affidamento esclusivo a uno dei genitori, l'altro genitore mantiene comunque la responsabilità genitoriale, salvo che il giudice disponga diversamente per gravi motivi.

La responsabilità genitoriale riguarda il diritto e il dovere di entrambi i genitori di prendersi cura dei figli e di prendere decisioni importanti per il loro benessere, come l’educazione, la salute e lo sviluppo. Anche con l’affidamento esclusivo, il genitore non affidatario conserva il diritto di essere informato e di partecipare alle decisioni di maggiore importanza nella vita del figlio, a meno che il giudice non ritenga necessario limitare tale diritto, ad esempio per tutelare l’interesse del minore in situazioni particolari.

Tuttavia, nel caso di affidamento esclusivo, il genitore affidatario ha maggiore autonomia nella gestione quotidiana della vita del figlio e può prendere le decisioni ordinarie senza la necessità di consultare l’altro genitore.

L’art.337 ter del Codice Civile regola l’affidamento e il mantenimento dei figli minori, anche se nati fuori dal matrimonio, in caso di separazione, cessazione degli effetti civili del matrimonio e in caso di scioglimento del matrimonio.

La disposizione in questione espone il principio fondamentale che guida l'intera normativa sui rapporti tra genitori e figli durante la crisi coniugale. Tale principio sottolinea il diritto del minore a mantenere un legame equilibrato e costante con entrambi i genitori, preservando inoltre relazioni significative con i parenti di ciascuno.

Il legislatore pone come prioritario l'obiettivo di garantire il benessere spirituale e materiale del minore, specialmente quando la coesione e la solidarietà familiare, indispensabili per il suo benessere, vengono compromesse.

In questo contesto, la regola generale, dopo la crisi tra i genitori, è l'affidamento "condiviso" del minore a entrambi i genitori. Nonostante uno dei genitori possa essere il collocatario principale, entrambi devono prendere decisioni sull'educazione del minore per preservare il suo equilibrio e i legami nell'ambiente educativo di riferimento. L'affidamento esclusivo a un solo genitore è l'eccezione, possibile solo se l'affidamento condiviso non risponde all'interesse superiore del minore, e richiede una motivazione specifica.

La giurisprudenza enfatizza che la conflittualità tra i coniugi non dovrebbe precludere l'affido condiviso, altrimenti verrebbe applicato solo in casi eccezionali, a discapito dell'interesse del minore.

Inoltre, riconosce il diritto del minore di mantenere rapporti stabili anche con il genitore non biologico, denominato "sociale", in seguito a una separazione di fatto.

Per quanto riguarda la responsabilità genitoriale, la disposizione prevede l'esercizio congiunto per decisioni cruciali e consente l'esercizio separato per questioni di ordinaria amministrazione. Sui contributi finanziari, si applica la regola in base alle risorse e alle capacità di entrambi i genitori, con il giudice che tiene conto di vari fattori nell'assegnare l'assegno di mantenimento.

 

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