Il codice civile, oltre ai regimi della comunione legale e della separazione dei beni, contempla la possibilità di definire i rapporti patrimoniali coniugali attraverso convenzioni matrimoniali e l'istituzione di regimi quali il fondo patrimoniale, la comunione convenzionale, l’impresa familiare e l’azienda coniugale.
In assenza di una specifica convenzione, conformemente alla normativa vigente, il regime patrimoniale predefinito per la famiglia è la comunione legale dei beni. La decisione di adottare un regime di separazione può altresì essere dichiarata nell'atto di celebrazione del matrimonio.
La scelta tra i regimi disciplinati dal codice civile può essere effettuata in qualsiasi momento della vita coniugale, fatta eccezione per la possibilità di optare per la separazione dei beni al momento della celebrazione del matrimonio. Ogni altra convenzione matrimoniale successiva al matrimonio, così come la scelta della separazione dei beni, deve essere formalizzata attraverso un atto pubblico notarile.
Infine, è da sottolineare che, sempre in conformità con le disposizioni di legge, affinché le convenzioni matrimoniali siano opponibili a terzi, è necessario annotare a margine dell'atto di matrimonio la data del contratto, il notaio rogante e le generalità dei contraenti.
Quindi, una deviazione dal regime legale della comunione dei beni può verificarsi attraverso l'adozione del regime di separazione dei beni o mediante un accordo finalizzato a modificare la struttura in conformità all'art. 210 c.c., comunemente noto come comunione convenzionale.
Nel contesto di queste possibilità, sorge una controversia riguardo al ruolo da attribuire all'autonomia negoziale dei coniugi. Un chiaro limite è posto dall'art. 160 c.c., che proibisce ai coniugi di derogare dai diritti e doveri previsti dalla legge in virtù del matrimonio, sottolineando l'importanza dell'interesse superiore della famiglia. Secondo alcuni interpreti, tale irrinunciabilità si riferisce esclusivamente ai diritti e doveri di natura patrimoniale, in particolare al dovere di contribuzione che grava su entrambi i coniugi. Questa restrizione non va interpretata in modo assoluto, consentendo ai coniugi di concordare convenzionalmente la misura e le modalità di adempimento di tali doveri, sempre nel rispetto dei principi di proporzionalità e reciprocità sanciti dall'art. 143 c.c.
In base al principio di autonomia privata, i coniugi hanno la facoltà di stipulare convenzioni matrimoniali. Secondo una visione più restrittiva, tali accordi potrebbero essere considerati come patti programmatici mirati a definire gli effetti di comportamenti futuri e, di conseguenza, privi di effetti dispositivi immediati, assimilabili a contratti normativi. Un approccio più ampio, invece, comprende anche atti immediatamente incidenti su beni specifici, in grado di modificare l'assetto patrimoniale associato alla comunione legale.
Infine, un orientamento aggiuntivo riconosce la possibilità di predisporre regimi patrimoniali atipici, attraverso un'applicazione estensiva del principio generale di cui all'art. 1322 c.c. in materia familiare, implicitamente autorizzata dal disposto dell'art. 161 c.c., che consente agli sposi di regolare i loro rapporti patrimoniali facendo riferimento a leggi straniere o a usi specificamente individuati.