Scioglimento della comunione legale tra i coniugi

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Lo scioglimento della comunione, ai sensi dell'art. 191 cod.civ. , si verifica per la dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi, per l'annullamento, per lo scioglimento o per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, per la separazione personale, per la separazione giudiziale dei beni (in riferimento al rapporto tra proponibilità della relativa domanda giudiziale e procedimento di separazione personale, si veda Cass. Civ. Sez.I, 4757/10), per mutamento convenzionale del regime patrimoniale (convenzione matrimoniale di separazione dei beni ex art. 162 cod.civ., da tenersi distinta da atti di natura divisionale quali ex art. 194 cod.civ. , incidenti direttamente sui beni e non già sul regime patrimoniale, come tali svincolati dai requisiti formali peculiari; cfr. Cass. Civ. Sez. I, 9846/96 ) o in esito alla dichiarazione di fallimento di uno dei coniugi (Cass. Civ., Sez. I, 8803/2017, in base alla quale, all'esito, la condizione giuridica dei beni già ricompresi nella comunione legale, verrebbero a cadere in comunione ordinaria).

Per quanto attiene alla separazione personale occorre osservare che la cessazione del regime della comunione deve essere collegata, a far tempo dal 26 maggio 2015, per effetto della novellazione dell'art. 191 cod.civ. introdotta dalla l. 6 maggio 2015 n. 55, al momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, in caso di separazione giudiziale, ovvero dalla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione dei coniugi dinanzi al presidente, purché successivamente omologato nell'ipotesi di separazione consensuale.

Nel tempo precedente gli effetti dello scioglimento delle comunione si verificavano ex nunc, dunque non retroattivamente, al momento del passaggio in giudicato della sentenza di separazione ovvero dell'omologazione da parte del Tribunale degli accordi consensualmente raggiunti. In particolare era chiaro che non potesse sortire alcun effetto il provvedimento interinale con il quale il Presidente del Tribunale autorizza i coniugi a vivere separati (Cass. Civ. Sez. I, 8707/98 ; Cass. Civ. Sez. I, 2652/95 ; Cass. Civ. Sez. I, 8463/92 ). Ne seguiva che, qualora uno dei coniugi, anche senza l'intervento dell'altro, avesse acquistato un bene (mobile o immobile), in pendenza del procedimento di separazione personale e successivamente al tentativo di conciliazione ed all'assunzione dei provvedimenti interinali, l'atto venisse automaticamente ad incrementare la consistenza della comunione dei beni (12523/93). Il problema può dirsi ormai appartenente al passato, data la riforma operata e il nuovo testo dell'art.191 cod.civ.. In ogni caso è stato deciso che la norma novellata non rinvenga applicazione in riferimento al giudizio divisionale relativo ai beni ricadenti nella comunione de residuo pendenti al tempo della sua entrata in vigore (cfr. Cass. Civ. Sez. I, ord. 4492/2021). E' stato deciso come sia comunque inopponibile al fallimento del marito la natura personale dell'acquisto immobiliare operato dalla moglie pure all'esito della separazione personale, in assenza dell'evidenza di tale circostanza nella nota di trascrizione (cfr. Cass. Civ. Sez. I, 376/2021).

Un problema di particolare importanza è inoltre costituito dalla possibilità che, in sede di accordi di separazione consacrati nel verbale d'udienza e sottoposti al controllo omologatorio del Tribunale, vengano tra i coniugi poste in essere attribuzioni patrimoniali, sia pure finalizzate ad assicurare la sistemazione dei rapporti anche di natura non patrimoniale tra i medesimi, con particolare riferimento a quelle che hanno l'effetto di trasferire diritti reali immobiliari.

Tra gli interpreti sono stati avanzati dubbi consistenti circa l'efficacia traslativa e la trascrivibilità di tali atti. Il problema non è soltanto quello dell'identificazione personale delle parti, ma anche quello della correttezza delle menzioni urbanistiche previste a pena di nullità dalla legge 1985 n.47 , della congruenza dei dati catastali, delle menzioni afferenti agli aspetti fiscali con particolare riferimento a quelle, previste a pena di nullità, dalla legge del 1990 n. 165. La giurisprudenza ritiene comunque ammissibili e valide le clausole dell'accordo di separazione mediante le quali vengano operate dette attribuzioni (Cass. Civ. Sez. I, 4306/97).

L'art. 192 cod.civ. disciplina i rapporti attivi e passivi tra la comunione ed i singoli coniugi. Esso dispone che i rimborsi alla comunione delle somme prelevate dal patrimonio comune per fini diversi dall'adempimento delle obbligazioni previste dall'art. 186 cod.civ. o del valore dei beni di cui all'art. 189 cod.civ. e le restituzioni a ciascuno dei coniugi delle somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate per scopi comuni devono essere effettuati al momento dello scioglimento della comunione. Tuttavia il giudice può autorizzare gli uni e le altre anche prima di tale momento qualora l'interesse della famiglia lo esige o lo consente.

Ai sensi dell'art. 194 cod.civ. la divisione dei beni della comunione legale si effettua ripartendo attività e passività in parti eguali tra i coniugi. Questa regola non viene meno neppure in conseguenza della pronunzia di annullamento del matrimonio ovvero della dichiarazione di nullità dello stesso conseguente alla delibazione della relativa pronunzia del Tribunale ecclesiastico (cfr. Cass. Civ. Sez.I, 11467/03 che ha escluso la possibilità di dar conto dell'eventualmente divergente apporto dei coniugi in ordine all'acquisto dei beni comuni). In concreto è ben possibile che l'assegnazione dei beni intervenga pure in difetto di assoluta omogeneità delle porzioni, ben potendo nell’ambito di ciascuna categoria di beni (immobili, mobili e crediti da dividere) alcuni di essi essere assegnati per l’intero ad una quota ed altri, sempre per l’intero, all'altra quota, salvi i necessari conguagli (Cass. Civ., Sez. II, 15395/2014).

Nell'ambito del procedimento divisionale il giudice, in relazione alle necessità della prole e all'affidamento di essa, può costituire a favore di uno dei coniugi l'usufrutto su una parte dei beni spettanti all'altro coniuge.

L'art. 195 cod.civ. dispone che nella divisione i coniugi o i loro eredi hanno diritto di prelevare i beni mobili che appartenevano ai coniugi stessi prima della comunione o che sono ad essi pervenuti durante la medesima per successione o donazione.                      A rigore non si tratta di una regola riguardante la divisione, ma dell'esplicitazione del principio in base al quale ciascuno dei coniugi si può riprendere i beni di carattere personale che, come tali, non hanno mai fatto ingresso nella comunione. Il problema può essere di natura probatoria: l'ultimo comma dell'art. 195 cod.civ. dispone che, in mancanza di prova contraria, si presume che i beni mobili facciano parte della comunione. Nell'ipotesi in cui non si rinvengano i beni mobili che il coniuge o gli eredi avevano il diritto di prelevare ai sensi dell'art. 195 cod.civ., risulta possibile ex art. 196 cod.civ. ripeterne il valore provandone l'ammontare anche per notorietà, salvo che la mancanza di quei beni sia dovuta a consumazione per uso o perimento o per altra causa non imputabile all'altro coniuge.

Il prelevamento così autorizzato non può farsi ex art. 197 cod. civ., a pregiudizio dei terzi, qualora la proprietà individuale dei beni non risulti da atto avente data certa. E' fatto salvo al coniuge o ai suoi eredi il diritto di regresso sui beni della comunione spettanti all'altro coniuge nonchè sugli altri beni di lui.

I provvedimenti assunti dal giudice nell'ambito della procedura divisionale non sembra possiedano natura di volontaria giurisdizione, ma natura contenziosa, avendo per oggetto l'accertamento di interessi che si contrappongono l'uno all'altro.

 

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