Sorgono difficoltà in ordine all'appartenenza o meno alla comunione legale dei beni tra coniugi delle partecipazioni di cui uno di essi sia titolare.
Il problema, come è evidente, si pone per l'acquisto della qualità di socio che segua al matrimonio. Quando infatti venisse in considerazione l'ipotesi di un soggetto che, già titolare di una partecipazione sociale, successivamente avesse a contrarre nozze in regime di comunione, la natura di bene personale di essa sarebbe fuori discussione.
Cosa dire, invece, quando l'eventualità si ponesse una volta contratto il matrimonio? Se nel caso delle azioni di s.p.a. o di quote di s.r.l., società di capitali, è possibile sostenere che l'acquisizione non si sottragga alla regola generale di cui alla lettera a) dell'art. 177 cod. civ. (Tribunale di Salerno, 16 febbraio 2007; Cass. Civ. Sez. I, 7437/94), pare inversamente che non ricada nella comunione, in quanto espressione di una posizione strettamente personale, la partecipazione in società di persone. E' stato tuttavia deciso che l'aumento di capitale sociale di una società di persone effettuato da uno dei coniugi in comunione ricade nella comunione stessa (Cass. Civ. Sez. II, 2569/09).
Per quanto attiene alla titolarità di partecipazioni in società cooperative, in linea teorica dovrebbe concludersi nel senso che le stesse debbano considerarsi personali, in quanto strumento di acquisizione di lavoro ovvero di risparmi di spesa da considerarsi strettamente inerenti il soggetto rivestente la qualità di socio. Tuttavia è possibile anche il contrario: si pensi alla titolarità di azioni di un istituto di credito cooperativo, in relazione alle quali emerge evidentemente una prevalenza dell'aspetto concernente l'investimento (Cass. Civ., Sez. I, 19689/2014).